venerdì 14 febbraio 2014

Cos'è un ribelle? Un uomo che dice no (Albert Camus)



Mercoledì a Taranto non è successo qualcosa.

Mercoledì gli ex Baraccamenti Cattolica non sono stati sgomberati.

Mercoledì il movimento Officine Tarantine non è stato sradicato dal luogo in cui è nato.

Mercoledì non sono stati murati in tutta fretta gli accessi ad una struttura posta nel pieno centro cittadino, di proprietà comunale e in evidente stato di abbandono, fino a circa quattro mesi fa quando ha ricominciato a vivere grazie ad un gruppo di ragazzi ancora animati da un sentimento di speranza verso questa città.

E non è successo non per volontà di un’amministrazione comunale illuminata e in grado di usare tutti i sensi di cui dispone. 

L’udito per ascoltare le reali esigenze urlate della comunità che dovrebbe amministrare. 

La vista per guardare il cambiamento in meglio che movimenti, nati dall’ostinazione e dall’energia di chi non si arrende al futuro negato dal rischio di malattie o disoccupazione, sono stati in grado di portare negli ultimi mesi in molte zone della città, aumentando la sensibilità e il senso di appartenenza al territorio di tutti i cittadini. 

Il tatto per tastare le reali potenzialità, emerse in poche settimane, di un luogo perso da decenni in beghe burocratiche e generale disinteresse.
Il gusto per continuare ad assaporare e difendere i prodotti unici e caratteristici che la propria terra potrebbe offrire e che invece è costretta a smettere di coltivare.

L’olfatto per sentire l’odore di pareti pulite verniciate da poco, di una cucina che sfama decine di ragazzi instancabili dopo turni di pulizia e lavori di ristrutturazione, del legno tagliato per costruire scalette, porte, mobili e strutture di rinforzo, della terra e dell’erba di aree verdi, merce rara nella città dell’acciaio. 

E infine il più importante di tutti: il buon senso. Quello che dovrebbe spingere l’amministrazione locale a cercare un confronto con le realtà positive e attive di questa città e non apportare una firma su un documento per permettere uno sgombero senza dialogo.


Ieri lo sgombero non c’è stato perchè una manciata di tarantini, utilizzando tutti i sensi di cui sopra, ha detto no. E ha scelto. Ha scelto di sostenere questi ragazzi che quattro mesi fa sono entrati, con l’intento di renderlo fruibile, in quello che un tempo era il cral Arsenale (una serie di edifici e aree verdi con sale incontro, sale giochi, un cinema, una birreria ecc), ora proprietà del Comune e in assoluto stato di abbandono da quando è stato dismesso dalla Marina Militare un ventennio fa. 

Questa manciata di tarantini, mercoledì, ha preso una decisione su ciò che è meglio per sé e per la città che abita, e lo ha mostrato, a braccia alzate e mani libere sulla testa, ai poliziotti, in inutile tenuta antisommossa, che cercavano di chiuderli fuori il cancello. La tensione c’è stata. La violenza no. E la polizia alla fine è andata via. Almeno fino ad ora.


Ma la scelta ormai la gente l’ha fatta.

Perché se è vero che le regole sono importanti e che le Officine Tarantine le mettono in crisi, costringendoci a dibattere sulle perplessità che nascono intorno alla decisione di intraprendere l’occupazione abusiva di un luogo pubblico (sebbene portata avanti in nome di un interesse collettivo), è vero anche che le regole devono essere importanti sempre e per tutti nello stesso modo. 

E se io vivo in una città il cui sindaco giustifica lo sgombero in quanto tenuto alla tutela della salute delle persone, e poi lo ritrovo indagato per l’inchiesta “Ambiente Svenduto” (che con la salute ha molto a che fare) insieme al governatore della regione e a svariati assessori regionali e provinciali, penso che, oltre a vivere secondo le regole, devo trovare un modo per difendere la mia vita e il mio futuro nella mia città da chi in realtà non la tutelerà mai, ma al contrario ride sulla possibilità che mi ammali.

E quando vedo che questa città è abitata da gente che, sostituendosi all’amministrazione locale e senza alcuno scopo politico o economico, si occupa di pulire e rifunzionalizzare piazze e aree verdi pubbliche, ricerca luoghi da bonificare e aprire a tutti, per costruire spazi in cui potersi esprimere e dare vita alle proprie idee, si riunisce e si scontra anche sei giorni a settimana in assemblee pubbliche, alla ricerca del modo migliore per restituire a questa città il volto che merita, la scelta di chi sostenere e quali regole seguire, diventa un po’ più semplice.

È per questo che sabato mattina sarà facile decidere di aderire alla mobilitazione organizzata dalle Officine Tarantine, che partirà da Via di Palma alle ore 9.00 e arriverà in Piazza della Vittoria per parlare, con chi ne avrà voglia, della “mancanza di spazi di aggregazione, di luoghi dove si respiri cultura, della quasi sempre forzata migrazione giovanile e dell'assenza di una concreta alternativa alla logica della grande industria a cui si contrappone la voglia di riappropriarsi del proprio futuro”


Io non so come finirà questa storia (anche se un presentimento purtroppo ce l’ho), quello che so è che mi aspetto che chi decide di amministrare una comunità sia migliore di me, è per questo che non intendo smettere di sostenere e difendere chi continua a dimostrare di esserlo, affinchè io possa continuare a scegliere ed essere davvero padrona della mia vita.


lunedì 3 febbraio 2014

sperimentàle #2 - materia


Nella storia dei miei lavori non sono mai stata io a trovare il materiale giusto, ma è sempre stato lui a venire da me.

Eppure sono perfettamente cosciente che la scelta del materiale è una fase fondamentale del processo creativo.

Per me il materiale è sempre stato parte dell’ispirazione.

Non mi è mai capitato di sceglierlo dopo aver visto il lavoro di qualche “collega” esattamente come non ho mai fatto mia una pratica molto diffusa in questo ambito, e cioè quella che porta ad affermare: “uh, bello quasi quasi lo faccio anche io”, guardando esposizioni o foto altrui

Io lavoro animata dall’ispirazione e nient’altro.
Per fortuna o purtroppo non sarei in grado di creare diversamente.

Ha scelto me il metallo che mi è stato messo tra le mani da bimba, il legno simbolo dell’incontro con Francesco e mi ha scelto l’ulivo che sancisce il legame con la nostra Terra, legame che è tornato prepotente con la ceramica incontro casuale e folgorante di qualche anno fa e che è diventata co-protagonista dei miei lavori, portandomi a eliminare, quasi del tutto, ogni altro genere di pietra e componente, infine il cuoio (che intendo inserire nei prossimi mesi dando finalmente forma ad un progetto pronto da un anno ormai) di cui ho scoperto le potenzialità inaspettate e affascinanti, guardando il lavoro straordinario delle mani sapienti di Giuseppe, artigiano fiorentino del cuoio.

Quindi, forse, nel mio caso, non parlerei di ricerca di materiale ma di incontro con il materiale e con chi gli dà vita.

È sempre stato qualcosa di istintivo e “fisico”. Toccare con mano un frammento, vederne la trasformazione tra le mani di un artigiano o tra le mie, conoscerne la composizione e apprezzare l’origine naturale della maggior parte dei materiali usati.


È l’ennesima prova che i miei lavori,  sono proprio la trasposizione di una parte molto intima di me.
Sono veri incontri che mi arricchiscono e aggiungono valore, rendono realmente preziosa ogni materia prima: dal legno  d’ulivo proveniente dalla potatura a medio termine sempre dello stesso campo, alle pietre in ceramica infornate sempre dallo stesso maestro artigiano, al cuoio ricavato dagli scarti della creazione di porta spiccioli fiorentini.

La combinazione tra i materiali è sempre stata un forte spinta nel mio lavoro.

Accostare metalli “vili”, ma orgogliosamente  lavorati con tecniche di forgiatura e traforo, a materiali inaspettati come il legno, la ceramica e il cuoio l’ho sempre ritenuta una peculiarità delle mie creazioni. Una parte della mia identità che tendo a difendere e conservare.

La collana della foto è un esperimento fatto ormai da un po’ di tempo ma che non espongo perché sento che non è ancora nella sua forma definitiva. È una collana in legno e ceramica. Due materiali che raramente ho visto abbinati ed è stata una delle prime creazioni realizzate quando io e Francesco abbiamo deciso di far entrare il legno nella nostre linee di gioielli. É la nostra essenza, ci dice chi siamo, da dove veniamo, da cosa siamo partiti. Fu un esperimento che ci ha convinto e che continueremo a proporre e a reinterpretare.

In ogni caso, in questi giorni questo pezzo è sul mio banco di lavoro pronto ad assumere la sua vera forma. 
E io attendo ansiosa la sua trasformazione.

"Il momento del cambiamento è l'unica poesia."
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