Ieri è stato un giorno qualunque per me. Un giorno ordinario
della mia vita nella mia città.
Ho un po’ di scadenze e progetti da portare a termine. Le
ultime settimane si stanno rivelando piuttosto stressanti. Tra il laboratorio da finire e il conseguente
trasloco imminente, la progettazione e la realizzazione di tre nuove linee da
lanciare al più presto, la programmazione e la presentazione a fiere e eventi a
breve scadenza, i conti che non tornano mai e il tempo che sembra dimezzarsi, le consegne e gli ordini
a cui dare priorità, le giornate trascorrono velocissime.
La mia vita è costruita intorno al lavoro che sto cercando,
con tutta la forza di cui dispongo, di far decollare per fargli assumere la
dimensione adeguata a mantenermi, e alla mia città che vorrei che mi somigliasse
un po’ di più, perché io sono sua figlia e, da terrona tradizionalista e amante
della famiglia, mi piacerebbe poterla guardare e riconoscermi, come mi accade
con le foto degli anni ’70 dei miei genitori.
E ieri, nella mia normale quotidianità, lavoro e città si
sono intrecciate di continuo. Ed è stata normale emozione.
Sono giorni che mi misuro con un nuovo lavoro. Ieri mi sono
scontrata con un tentativo fallito. L’anello sul quale sto lavorando, in corso
di forgiatura, si è fratturato in due punti. Nel mio lavoro è normale. In fondo
un po’ me l’aspettavo. Oggi ho ricominciato a lavorarci sopra, a partire da
una piccola modifica del disegno, sono sicura di farcela. Spero solo che Alexandra,
che me lo ha commissionato, abbia ancora un po’ di pazienza. A giudicare dall’entusiasmo con cui mi parlava
al telefono ieri sera, dopo aver visto le immagini delle prime prove di
realizzazione (anche se rotte), sento di poter continuare a lavorare serena.
Ieri è anche arrivato il pacco pieno di materiale nuovo. L’agitazione
che mi aveva accompagnato in fase di ordine, e che mi ha richiesto quasi 4 ore
di selezione e valutazione poichè mai sperimentato prima per i miei lavori, ha
lasciato in un attimo il posto all’entusiasmo di avere una nuova possibilità
tra le mani.
Ho anche scoperto che il pacco spedito lunedì è già arrivato
a destinazione e Ivana me lo ha confermato soddisfatta, che i preventivi
richiesti piano piano vengono inviati, che il materiale acquistato da 4 giorni
giace ancora nel magazzino del negozio, che le scadenze per i bandi si
avvicinano e il lavoro è ancora a zero.
Tutto normale.
Ieri mattina mi sono anche messa in macchina con Francesco e
sono andata in giro in città per un paio d’ore.
C’era il sole.
Ieri era l’ultimo giorno utile per assistere alla Mostra d’arte
“Correnti Seduttive”. Un progetto ideato e curato da Alessandra Eramo, tarantina
che vive a Berlino. Alessandra ha messo insieme un gruppo di artisti residenti nella
capitale tedesca (4 oltre lei) che nell' ottobre 2013, durante una permanenza di 3
settimane nel Castello Aragonese, hanno osservato e vissuto la città e si sono
lasciati ispirare. Le opere create sono state esposte in tre punti tra il borgo
e la città vecchia, anche grazie al lavoro di qualche nostro valido operatore
culturale.
Il percorso è stato breve ma ricco.
E così soffiando dentro un tubicino trasparente che spunta
dal gabbiotto abbandonato delle informazioni turistiche in piazza Garibaldi,
alcune immagini confuse e disturbate proiettate sulle vetrate, diventano
immediatamente nitide e riconoscibili. E i suoni provenienti dagli altoparlanti
prendono forma. Ruote di bicicletta sulla strada della via principale, i cani
randagi che abitano piazza fontana, il mercato del pesce. E ho dovuto respirare
profondamente per vederle, ho dovuto fare fatica, “sbuffare”. E, purtroppo, in
questa città, a volta è necessario che qualcuno ti gridi nell’orecchio di
“sbuffare” (magari anche qualche voce amica), perché altrimenti non riuscirai a
vedere quanta bellezza ti circonda. E la consapevolezza della forza e della
resistenza che ci vuole, si è palesata quando, pur essendo convinta di soffiare in
quel tubicino, l’immagine è rimasta sfocata, e in quel momento la necessità
istintiva di vedere chiaro e godere di quella vista mi hanno costretto a far uscire
tutta l’aria immagazzinata nei polmoni, quasi come in un grido, ma era solo un
soffio. E sono andata via da quel gabbiotto pensando che dovrà pur arrivare il
giorno in cui ci basterà respirare normalmente per poter vivere in armonia con
gli elementi di questo territorio.
Proseguendo verso il ponte girevole, fermarsi ad osservare
le due sagome imponenti che sovrastavano il sottopassaggio, temporaneamente
aperto ma di solito in disuso, è stato spontaneo. Sono i muri che imprigionano
Taranto impedendole di scegliere il suo destino. Sagome eloquenti che mostrano
le spalle a questa città. Ma scendendo quelle scale, i suoni e le immagini si
fanno in un momento familiari. E di nuovo riconosco la mia città, nella voce e
nelle parole di un uomo che emoziona, lotta, cambia, crede e resiste e che è spesso, a
sua insaputa, ispirazione e stimolo per alcune mie scelte. Gli occhi lucidi
arrivano in un attimo, come anche le risposte a molti dubbi che ultimamente mi
pervadono e a volte rallentano i miei gesti di partecipazione al cambiamento.
L’ultima tappa era nel cuore della città vecchia. Palazzo Galeota.
Vista, Udito e anima si saziano del tutto.
Mentre indosso delle cuffie che mi permettono di ascoltare i
suoni provenienti da un giradischi, il mio viso è cupo, grigio. L’artista mi
guarda e mi chiede “è dura, eh?” e allora gli mostro il viso di Francesco accanto
a me: ha altre cuffie alle orecchie, il suono che ascolta proviene da un altro
giradischi, Francesco sorride. Io ho ascoltato “parole di dolore”, lui “parole
d’amore”. Provengono dalla nostra stessa città. La realtà non è racchiusa tutta
nel vinile che ho ascoltato io. C’è altro. Il sorriso di Francesco me lo
ricorda. Ne ho conferma ascoltando anche io. Dovrò continuare a ricordalo
quando mi sentirò stanca.
L’ennesima emozione è affidata all’opera che mi permette di
ascoltare suoni registrati per le strade di Taranto accompagnati dalle
fotografie degli stessi luoghi. Mi viene in mente una mostra di Gabriele
Basilico visitata nel 2008 a Bari. Lì, alle foto panoramiche del capoluogo
pugliese erano associati dei suoni registrati dal regista Alessandro Piva. Fu suggestivo.
Ieri è stato emozionante. Solo ascoltando avrei potuto capire a quale luogo
appartenevano quei suoni, solo guardando le fotografie avrei potuto ascoltare
nella mia testa i suoni di riferimento.
E così degli “stranieri” mi hanno fatto sentire a casa.
Esprimendo in opera d’arte l’emozione, la frustrazione, il dolore, la fatica,
l’incanto, la pace, il conflitto, il senso di impotenza e quello di bellezza
che definisce il mio essere orgogliosamente tarantina e vivere quotidianamente questa terra.
E mi rendo conto, una volta di più, della potenza dell’arte.
Della sua capacità evocativa, del messaggio che è in grado di veicolare, della
forza che possiede e emana. E ho conferma di quanto la mia città ne abbia bisogno.
Nutre l’uomo quanto il pane. Alimentarsi da infermi non è abbastanza. I sensi devono sentirsi sazi quanto lo stomaco. E l’anima e la mente hanno bisogno di
energia quanto le braccia e le gambe, per cambiare il volto di questa città.
Per renderla più simile agli esseri che la abitano, che non sono solo forza
lavoro, ma, più di ogni altra cosa, genitori pieni di speranza e aspettative
per i loro figli, giovani creativi e ambiziosi, professionisti senza
aspirazioni da migranti, ragazzi
energici e sognatori.
La mia giornata normale è
proseguita come al solito. Lavoro e stress. Conti e progetti.
Fino alla sera quando, mentre l’italia guardava e
criticava senza capire la poesia di un film da oscar, testimoniando ancora una
volta di essere artefice dell’orrore in cui sta precipitando, io assistevo ad un’altra “grande bellezza”
tutta nostra. E ancora una volta ho molto da imparare da chi non condivide con
me questa realtà. Ascoltare un musicista affermato che, spontaneamente, decide di
mettere a disposizione tempo, parole, contatti e consigli per creare un evento
che ha l’ambizione di urlare, anche quest’anno, la necessità di cambiamento di
Taranto, senza chiedere niente in cambio, è “bellezza” vera.
E mi sento
fortunata ad incrociare nella mia vita tanta luce.
Ed è uno schiaffo a chi
continua a non muoversi per il cambiamento ritenendolo impossibile, a chi si è
venduto per una poltrona più comoda ed è una nuova risposta per quei dubbi che
a volte rallentano la mia corsa e che sono causati dalla fatica, dalla
frustrazione, dalle complicazioni della quotidianità, dalla difficoltà incontrate
nel confronto con gli altri.
La mia lunga giornata normale è finita poco dopo.
La normale
buonanotte ad alcuni pezzi della mia vita, e uno strano (e un po’ affaticato)
sorriso stampato in faccia.